La merce che ci mangia (QUANTI EINAUDI 36) by Wolf Bukowski

La merce che ci mangia (QUANTI EINAUDI 36) by Wolf Bukowski

autore:Wolf Bukowski [Bukowski, Wolf]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-12-01T12:00:00+00:00


Da merce a non merce?

In un saggio del 1986, l’antropologo Arjun Appadurai sostiene che quella di merce può essere non l’essenza, ma solo una fase nella vita di alcuni oggetti; e che dunque «gli oggetti possono essere spostati dentro e fuori dallo stato di merce». Questo spostamento avverrebbe in conseguenza al «perenne e universale braccio di ferro fra la tendenza di tutte le economie» a espandere al massimo la mercificazione, «e la tendenza di tutte le culture a limitarla»36. Benché non mi convinca del tutto, questa formulazione mi è tornata in mente ascoltando Martina Lo Cascio raccontare delle condizioni d’esistenza, e in particolare di quelle abitative, dei lavoratori migranti stagionalmente occupati nell’olivicoltura del Belice. Tra le attività che i braccianti organizzano nei loro luoghi di vita, dice la sociologa, c’è sempre quella della cucina, spesso anzi delle cucine, plurali e diverse secondo le tradizioni alimentari dei paesi di provenienza.

– Dove fanno la spesa? – non mi trattengo dal chiederle.

– Al supermercato o all’hard discount, – mi risponde.

Gli insediamenti dei braccianti nascono nell’informalità. Fino a quando vi restano, la cucina sforna i suoi pasti; quando però entrano in campo le istituzioni la cucina viene considerata fonte di rischio impossibile da contenere, e su di essa viene posto un divieto. Il volontariato piú legalitario si prodiga quindi a offrire panini; si progetta un catering ufficiale, a prezzo calmierato, ma tutto questo viene contestato dai braccianti, che vorrebbero continuare a cucinare da sé. Tutto il cibo, qui, è merce (e le olive che i braccianti raccolgono sono una tipicità…); ma quello acquistato e cucinato in proprio afferma, quasi contro la sua natura di merce, un residuo di autonomia esistenziale, particolarmente prezioso dove essa è cosí conculcata37.

La domanda che avevo rivolta a Martina, cioè dove facessero la spesa i braccianti, suona certamente banale. Nel formularla tornavo col pensiero a qualcosa che mi aveva colpito in un altro luogo di bracciantato migrante, Rosarno, nel 2015. Si trattava della constatazione, naïve al punto di risultare imbarazzante, che anche le persone piú sfruttate da un regime del cibo dominato dalla grande distribuzione, come sono questi braccianti, alla fine di una durissima giornata di lavoro vanno a fare la spesa nei supermercati. Dove altro potrebbero andare, in effetti? Non solo per la capillarità dei punti vendita, ma anche perché avendo redditi bassi è proprio alla grande distribuzione che devono rivolgersi, dove il costo del cibo è basso anche perché sono bassi i loro redditi. L’impressione che ne avevo ricavato mi è rimasta in testa per anni. A lungo ho cercato di venirne a capo con gli strumenti dell’analisi di classe, ma questi non facevano che piegarsi nello scontro con la realtà. Che fare, per esempio, della constatazione che un aumento dei salari dei braccianti avrebbe spinto i subfornitori dei supermercati ancor piú rapidamente verso la meccanizzazione? Invece di migliorare la condizione di quei lavoratori, si sarebbe cosí inverato ciò che avevo sentito raccontare come incubo da un giovane burkinabé a Venosa, in Basilicata: arrivare «al campo una mattina e scopri[re] che una macchina ha raccolto i pomodori al posto nostro»38.



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